«Durante il corso della mia lunga e laboriosa vita d’artista, ho lottato e vinto senza mai chiedere se non a me stesso, anche quando sapevo che nulla potevo offrirmi. […]
In silenzio ho lottato contro la fame, lieto di poter triturare il marmo, di scavare in esso la sublimazione dei miei istinti, di dar figura alle mie visioni, di placare quella sete che ancor oggi non è estinta. […]
Non mai chiesto nulla a nessuno, fiero del mio temperamento estroso, incline come fui e come sono tutt’ora, a donare anziché ricevere. Verona non mi deve nulla.
Figlio amoroso dell’Arte, ho seguito le arcane strade della gioia interiore, ed ho donato.
Mi furono vicini – lungo il mio cammino – i Prati, i Dall’Oca, i Barbarani, i Simoni.
Vi fu tra noi un patto silenzioso d’amore: donare alla Città della Bellezza il canto della nostra anima: monumenti, tele, poesie, pagine incantate di segni grafici. Per ampliare il respiro e la gloria della nostra Città, puntammo i piedi: piazze, pinacoteche e paesi ci conobbero, e Verona fu ancor più conosciuta ed amata.
Ora ho 73 anni e il lavoro non mi pesa, né l’entusiasmo mi abbandona».
Da “Egisto Zago. Lo scultore del popolo”
di Camilla Bertoni e Gabriella Bologna
Scriveva così Egisto Zago, scultore, al Sindaco di Verona nel 1957, facendo una sorta di bilancio della sua vita d’artista.
Che può essere una vita difficile a tratti, faticosa, a volte ingrata magari,
ma che nell’atto di donare bellezza si sublima ed esaudisce il suo destino.
Dedicato ai «figli amorosi» di tutte le Arti la cui sete non si placa mai nella ricerca continua del Bello.