Poesie e filastrocche
Una raccolta di poesie è forse il massimo epitaffio che si possa tributare all’autrice scomparsa, affidando alla memoria il compito che le è più specifico, quello della rinascita. Dalle ceneri ormai dissolte dell’esistenza terrena, dalla carnalità transustanziata nei versi che lo spirito ha lasciato a indelebile traccia di sé, emerge il colpo d’ala di un nuovo volo insperato. Chi si è occupato di assemblare, codificare e mettere in sequenza i componimenti di questa silloge ha sostato ai piedi dell’urna in dedicato silenzio, in quiete attenta, pagando a dimostrazione del suo impegno una concentrazione pari solo all’amore. I componimenti poetici emersi dalle catacombe di fogli scoperti e riscoperti, mai dimenticati, sono ora rimessi in circolo nella vena creativa dell’universo. Se la poesia serve da sempre a immortalare, a erigere il monumento più duraturo del bronzo per conquistare l’eternità all’oggetto cantato, essa, si sa, lo fa pure a vantaggio dell’imperitura esistenza del poeta. Ed è qui che si consegue la duplice meta di questa raccolta: restituire la giusta immortalità allo spirito perpetuando il ricordo del suo canto insieme a quello della sua persona.
Alba Avesini (Verona 10 gennaio 1948 – Verona 4 gennaio 2003), all’anagrafe Rosalba, ha lavorato molti anni per un grande editore come redattrice, traduttrice e autrice, specialmente nel campo della letteratura per ragazzi. A favore di quest’attività rifiutò un’offerta di lavoro alla Banca d’Italia. È stata la traduttrice ufficiale italiana degli albi di Asterix firmati Goscinny & Uderzo, su espressa richiesta dell’editore originale francese. Si sposa un lunedì pomeriggio del 1973, costringendo l’anziana e ignara organista a suonare in chiesa, spacciandole per antiche musiche sacre, “La marche nuptiale” di Brassens, “La chanson des vieux amants” di Brel e il “Concerto per Aranjuez” di Rodrigo. Dopo un periodo di impiego all’interno della redazione, preferì una collaborazione da casa per evitare che gli orari di lavoro suoi e del marito li costringessero a incontri fugaci come nel racconto di Calvino “L’avventura di due sposi” (e nella derivata “Canzone triste” musicata da Sergio Liberovici). Francofila e germanofila, divorava decine di libri in pochissimo tempo. Ha silenziosamente ma attivamente collaborato fin dal primo giorno ai Club Tenco di Venezia e di Sanremo, associazioni per la valorizzazione della canzone d’autore. Piero Ciampi le indirizzò un frammento di una sua canzone interpretandola al “Premio Tenco” del 1976. Alla sua memoria Paolo Conte dedicò pubblicamente la Targa Tenco 2005 per il miglior disco dell’anno, vinta con la sua “Elegia”. Scriveva poesie e filastrocche per occasioni rigorosamente private. Tutte inedite quindi, salvo tre o quattro. Arbitrariamente il marito e un’amica decisero di pubblicarle a dieci anni esatti dalla sua partenza.
Una raccolta di poesie è forse il massimo epitaffio che si possa tributare all’autrice scomparsa, affidando alla memoria il compito che le è più specifico, quello della rinascita. Dalle ceneri ormai dissolte dell’esistenza terrena, dalla carnalità transustanziata nei versi che lo spirito ha lasciato a indelebile traccia di sé, emerge il colpo d’ala di un nuovo volo insperato. Chi si è occupato di assemblare, codificare e mettere in sequenza i componimenti di questa silloge ha sostato ai piedi dell’urna in dedicato silenzio, in quiete attenta, pagando a dimostrazione del suo impegno una concentrazione pari solo all’amore. I componimenti poetici emersi dalle catacombe di fogli scoperti e riscoperti, mai dimenticati, sono ora rimessi in circolo nella vena creativa dell’universo. Se la poesia serve da sempre a immortalare, a erigere il monumento più duraturo del bronzo per conquistare l’eternità all’oggetto cantato, essa, si sa, lo fa pure a vantaggio dell’imperitura esistenza del poeta. Ed è qui che si consegue la duplice meta di questa raccolta: restituire la giusta immortalità allo spirito perpetuando il ricordo del suo canto insieme a quello della sua persona.
Alba Avesini (Verona 10 gennaio 1948 – Verona 4 gennaio 2003), all’anagrafe Rosalba, ha lavorato molti anni per un grande editore come redattrice, traduttrice e autrice, specialmente nel campo della letteratura per ragazzi. A favore di quest’attività rifiutò un’offerta di lavoro alla Banca d’Italia. È stata la traduttrice ufficiale italiana degli albi di Asterix firmati Goscinny & Uderzo, su espressa richiesta dell’editore originale francese. Si sposa un lunedì pomeriggio del 1973, costringendo l’anziana e ignara organista a suonare in chiesa, spacciandole per antiche musiche sacre, “La marche nuptiale” di Brassens, “La chanson des vieux amants” di Brel e il “Concerto per Aranjuez” di Rodrigo. Dopo un periodo di impiego all’interno della redazione, preferì una collaborazione da casa per evitare che gli orari di lavoro suoi e del marito li costringessero a incontri fugaci come nel racconto di Calvino “L’avventura di due sposi” (e nella derivata “Canzone triste” musicata da Sergio Liberovici). Francofila e germanofila, divorava decine di libri in pochissimo tempo. Ha silenziosamente ma attivamente collaborato fin dal primo giorno ai Club Tenco di Venezia e di Sanremo, associazioni per la valorizzazione della canzone d’autore. Piero Ciampi le indirizzò un frammento di una sua canzone interpretandola al “Premio Tenco” del 1976. Alla sua memoria Paolo Conte dedicò pubblicamente la Targa Tenco 2005 per il miglior disco dell’anno, vinta con la sua “Elegia”. Scriveva poesie e filastrocche per occasioni rigorosamente private. Tutte inedite quindi, salvo tre o quattro. Arbitrariamente il marito e un’amica decisero di pubblicarle a dieci anni esatti dalla sua partenza.