Dal Po all’Albania 1943-1949. Un medico mantovano tra guerra e prigionia
Da un epistolario fra Vittorio Bruschi e la fidanzata Rosita Casari, l’autrice ripercorre la storia del padre, medico militare nella seconda guerra mondiale in territorio albanese e, in particolare, la vicenda del suo trattenimento forzato in Albania ben oltre la fine della guerra.
«Come vedi ti scrivo da Tirana e non da Brindisi, come avevo sperato, dove un gruppo di italiani è sbarcato oggi. Sono a Tirana da pochi giorni a casa del mio amico Mileti, perché il Ministero mi ha chiamato per firmare un contratto che non ho firmato e i funzionari si sono adirati. Un filo di speranza ancora c’è ed è a quello che mi attacco ora.
Spero di vivere per poter vedere come questa cosa si concluderà.
Sono in condizioni di spirito particolari, neanche lo psicologo più acuto potrebbe forse capire che cosa si agiti in me e tanto meno posso comprendere io stesso i moti interiori del mio intimo.
È forse un senso di rivolta verso me stesso in considerazione degli anni perduti e ancor più di quelli che ancora mi toccherà scontare in omaggio a chi non so. Pazienza, dico poi a me stesso».
Vittorio Bruschi
Da un epistolario fra Vittorio Bruschi e la fidanzata Rosita Casari, l’autrice ripercorre la storia del padre, medico militare nella seconda guerra mondiale in territorio albanese e, in particolare, la vicenda del suo trattenimento forzato in Albania ben oltre la fine della guerra.
«Come vedi ti scrivo da Tirana e non da Brindisi, come avevo sperato, dove un gruppo di italiani è sbarcato oggi. Sono a Tirana da pochi giorni a casa del mio amico Mileti, perché il Ministero mi ha chiamato per firmare un contratto che non ho firmato e i funzionari si sono adirati. Un filo di speranza ancora c’è ed è a quello che mi attacco ora.
Spero di vivere per poter vedere come questa cosa si concluderà.
Sono in condizioni di spirito particolari, neanche lo psicologo più acuto potrebbe forse capire che cosa si agiti in me e tanto meno posso comprendere io stesso i moti interiori del mio intimo.
È forse un senso di rivolta verso me stesso in considerazione degli anni perduti e ancor più di quelli che ancora mi toccherà scontare in omaggio a chi non so. Pazienza, dico poi a me stesso».
Vittorio Bruschi