La collezione d’arte
Possiamo anche ammettere un dato che molti studiosi accettano a fatica: le capitali finanziarie sono le capitali dell’arte. Parigi lo era stata, New York lo è stata, Milano lo è. In questa dimensione, in una città divenuta cuore pulsante non solo per l’Italia e l’Europa, l’Ottocento ritorna prepotente e la vecchia Milano dei grandi pittori lombardi rivive in alcune opere che paiono messaggi da un’altra dimensione: quel tram esiste ancora, quel naviglio esiste ancora e, soprattutto, quell’aprirsi al mondo tipico della mentalità meneghina, esiste ancora. La collezione della Chemax Art in quella direzione guarda; un passato proiettato nel futuro. (Matteo Gardonio)
Non sono opere prêt-à-porter. Messa da parte l’autorità dei prìncipi, e fra parentesi la bussola di ogni teologia, questi dipinti non contengono troppe risposte, come accade nella maturità, che è in parte anche
epoca del disincanto. Ma forse proprio per questo lasciano affiorare ancor meglio le più ineludibili delle
domande. Opere che contengono il dramma della vita, nel suo accadere – con un sostrato fluido, coerente col tempo che passa, eppure con tutta la gravità etica dell’agire umano che resta –; che racchiudono l’interrogativo metafisico, con quello scavare nella materia e nel suo rapporto fra oggettività ed evanescenza.
Che lasciano presagire da ultimo quel confine sottile che è il vero banco di prova della modernità,
ossia il discrimine fra l’affermazione – anche civile e sociale – e la negazione di ogni significato; la zona
d’ombra fra l’ottimismo del mercato e la dimenticanza del più debole, non di rado sopraffatto; e in definitiva quel poco che separa – o forse che tiene insieme – tutti gli slanci dell’uomo moderno e il suo sentimento strisciante di un nulla pur sempre possibile. Di qui il mio – e spero di poter dire ‘nostro’ – guadarmi allo specchio attraverso queste tele; e di qui anche il senso di inadeguatezza, la commozione, la libertà: tutto ciò che ben al di là di aste e borsini rende l’arte – e ancor più il collezionarla – tanto inutile da restituire in parte, persino all’uomo del terzo millennio, il valore autentico di ciò che è veramente gratuito. (Massimo Cherubini)
Possiamo anche ammettere un dato che molti studiosi accettano a fatica: le capitali finanziarie sono le capitali dell’arte. Parigi lo era stata, New York lo è stata, Milano lo è. In questa dimensione, in una città divenuta cuore pulsante non solo per l’Italia e l’Europa, l’Ottocento ritorna prepotente e la vecchia Milano dei grandi pittori lombardi rivive in alcune opere che paiono messaggi da un’altra dimensione: quel tram esiste ancora, quel naviglio esiste ancora e, soprattutto, quell’aprirsi al mondo tipico della mentalità meneghina, esiste ancora. La collezione della Chemax Art in quella direzione guarda; un passato proiettato nel futuro. (Matteo Gardonio)
Non sono opere prêt-à-porter. Messa da parte l’autorità dei prìncipi, e fra parentesi la bussola di ogni teologia, questi dipinti non contengono troppe risposte, come accade nella maturità, che è in parte anche
epoca del disincanto. Ma forse proprio per questo lasciano affiorare ancor meglio le più ineludibili delle
domande. Opere che contengono il dramma della vita, nel suo accadere – con un sostrato fluido, coerente col tempo che passa, eppure con tutta la gravità etica dell’agire umano che resta –; che racchiudono l’interrogativo metafisico, con quello scavare nella materia e nel suo rapporto fra oggettività ed evanescenza.
Che lasciano presagire da ultimo quel confine sottile che è il vero banco di prova della modernità,
ossia il discrimine fra l’affermazione – anche civile e sociale – e la negazione di ogni significato; la zona
d’ombra fra l’ottimismo del mercato e la dimenticanza del più debole, non di rado sopraffatto; e in definitiva quel poco che separa – o forse che tiene insieme – tutti gli slanci dell’uomo moderno e il suo sentimento strisciante di un nulla pur sempre possibile. Di qui il mio – e spero di poter dire ‘nostro’ – guadarmi allo specchio attraverso queste tele; e di qui anche il senso di inadeguatezza, la commozione, la libertà: tutto ciò che ben al di là di aste e borsini rende l’arte – e ancor più il collezionarla – tanto inutile da restituire in parte, persino all’uomo del terzo millennio, il valore autentico di ciò che è veramente gratuito. (Massimo Cherubini)