La morte della volpe
Poesie
«Un poeta», ha scritto da qualche parte Montale, «non deve rinunciare alla vita. È la vita
che s’incarica di sfuggirgli». Ne deriva un’idea di poesia al riparo da qualsiasi forma di
intenzionalità, di programma: un sensibilissimo sismografo che si propone come
registrazione fedele del vissuto.
E che porta su di sé il carico di un’inevitabile consapevolezza, la certezza che l’esistere e
la «fine dell’infanzia» devono sempre fare i conti con la separazione.
Da questo bisogno di dire la perdita – ma anche dall’«onore» portato a un pur non facile
«vero» – scende, per li rami, anche la poesia di Luca Bragaja. La sua seconda prova in
versi sembra nascere da un ininterrotto colloquio con la propria coscienza, non è gesto
inimitabile né bella bandiera, non è scrittura “festiva”. Piuttosto un abito feriale, ben
aderente alla propria, quotidiana ombra. Un «lungo pensare» che porta il segno di
un’«immateriale ferita».
Dalla prefazione di Massimo Natale.
Poesie
«Un poeta», ha scritto da qualche parte Montale, «non deve rinunciare alla vita. È la vita
che s’incarica di sfuggirgli». Ne deriva un’idea di poesia al riparo da qualsiasi forma di
intenzionalità, di programma: un sensibilissimo sismografo che si propone come
registrazione fedele del vissuto.
E che porta su di sé il carico di un’inevitabile consapevolezza, la certezza che l’esistere e
la «fine dell’infanzia» devono sempre fare i conti con la separazione.
Da questo bisogno di dire la perdita – ma anche dall’«onore» portato a un pur non facile
«vero» – scende, per li rami, anche la poesia di Luca Bragaja. La sua seconda prova in
versi sembra nascere da un ininterrotto colloquio con la propria coscienza, non è gesto
inimitabile né bella bandiera, non è scrittura “festiva”. Piuttosto un abito feriale, ben
aderente alla propria, quotidiana ombra. Un «lungo pensare» che porta il segno di
un’«immateriale ferita».
Dalla prefazione di Massimo Natale.