Metafore nomadi. Frammenti d’esistenza e speranza dalla Galilea
Sono nato in un piccolo paese dell’alta Galilea, Al Makker in provincia di San Giovanni d’Acri. Sono nato in una famiglia musulmana, contadina. Da loro ho ereditato l’arte divina del “seminare”. Una terra e un nome da raggiungere, attraverso una via antica, dolorosa, silenziosa. Mi sono incontrato con me stesso, lontano dalla mia terra, lontano da casa mia. In Italia mi sono laureato in psicologia all’università di Padova. L’Italia fu un’occasione di incontro fra sogno e realtà. Dieci anni di esperienza, una nuova visione culturale, una nuova mentalità, un grande bagaglio da riportare nel viaggio di ritorno nel mondo orientale. Una lettera occidentale, da sinistra a destra.
Quale identità? Appartengo al genere umano. Il resto, la memoria, gli scritti, la poesia, è tutto da identificare. Chi sono? Un palestinese non ha una patria. Migra nei ricordi, nelle immaginazioni. Un miraggio… Lo cerca nel passato o si identifica con altre storie, per poter trarre una soddisfazione inconscia di desideri di appartenenza. Una storia, un libro, una metafora, una croce, sono i mezzi di salvezza che potrebbero essere utili. Non so! Da quando correvo da bambino nei campi di olive e di grano, percepivo che la raccolta di tutta la stagione sarebbe stata la raccolta di parole e ricordi dolci, gialli, infantili, amarissimi! Ogni tramonto annunciava l’alba degli invasori e ogni alba vedeva crocifisso un altro campo di grano, di olive, lentamente, silenziosamente. Non ho mai vissuto nella mia patria, ma è lei che vive in me, sotto varie forme ed espressioni, patologiche forse, di allucinazione, di identificazione con l’aggressore. Sotto forma di colori, di sogni, di incubi, oppure nei quadri di poesie scritti con metafore scalze, lettere seccate, malformate. Sensazioni ed emozioni eccitate dalla rabbia, dalla sofferenza.
Una patria. Una appartenenza. Qual è la mia vera identità?
Sono nato in un piccolo paese dell’alta Galilea, Al Makker in provincia di San Giovanni d’Acri. Sono nato in una famiglia musulmana, contadina. Da loro ho ereditato l’arte divina del “seminare”. Una terra e un nome da raggiungere, attraverso una via antica, dolorosa, silenziosa. Mi sono incontrato con me stesso, lontano dalla mia terra, lontano da casa mia. In Italia mi sono laureato in psicologia all’università di Padova. L’Italia fu un’occasione di incontro fra sogno e realtà. Dieci anni di esperienza, una nuova visione culturale, una nuova mentalità, un grande bagaglio da riportare nel viaggio di ritorno nel mondo orientale. Una lettera occidentale, da sinistra a destra.
Quale identità? Appartengo al genere umano. Il resto, la memoria, gli scritti, la poesia, è tutto da identificare. Chi sono? Un palestinese non ha una patria. Migra nei ricordi, nelle immaginazioni. Un miraggio… Lo cerca nel passato o si identifica con altre storie, per poter trarre una soddisfazione inconscia di desideri di appartenenza. Una storia, un libro, una metafora, una croce, sono i mezzi di salvezza che potrebbero essere utili. Non so! Da quando correvo da bambino nei campi di olive e di grano, percepivo che la raccolta di tutta la stagione sarebbe stata la raccolta di parole e ricordi dolci, gialli, infantili, amarissimi! Ogni tramonto annunciava l’alba degli invasori e ogni alba vedeva crocifisso un altro campo di grano, di olive, lentamente, silenziosamente. Non ho mai vissuto nella mia patria, ma è lei che vive in me, sotto varie forme ed espressioni, patologiche forse, di allucinazione, di identificazione con l’aggressore. Sotto forma di colori, di sogni, di incubi, oppure nei quadri di poesie scritti con metafore scalze, lettere seccate, malformate. Sensazioni ed emozioni eccitate dalla rabbia, dalla sofferenza.
Una patria. Una appartenenza. Qual è la mia vera identità?